Quale futuro per le imprese di costruzione della provinica?

Giorgio Mazzocchi, Roma

L’edilizia, come già osservato in altra mia lettera, sembra aver preso la mano agli Amministratori pubblici. Osservavo che se non si danno sempre nuove concessioni edilizie, gli imprenditori edili minacciano licenziamenti e tanto basta per costruire e urbanizzare in ogni dove.
Ma cosa accadrà da qui a cinque o dieci anni? Vedremo forse il territorio trasformato come quello della Lombardia o della costiera romagnola dove si possono percorrere decine di chilometri senza vedere un paesaggio rurale, incontrando solo aree urbanizzate e densamente costruite?
E‘ logico sperare che al più presto ci si renda conto della necessità di frenare la crescita dell’urbanizzazione del territorio. Tuttavia, a questa auspicata presa di coscienza, oltre ai vantaggi attesi, seguirebbe un declino dell’attività delle imprese di costruzione.
E questo è un problema per due ragioni, la prima per la caduta negativa che ne seguirebbe sull’occupazione nel settore edile e nell’indotto, e l’altra perché questa obiettiva difficoltà rischia di allontanare indefinitamente nel tempo una presa d’atto politica dei danni irreversibili causati dall’eccessiva espansione edilizia.
Ma allora quale soluzione è possibile? Certamente non quella di cercare di tenere occupate le imprese demolendo masi o ambiti cittadini storici, con l’idea di ricostruire case-clima: è come se a Roma o Firenze per far lavorare le imprese si buttasse giù il centro storico per fare case-clima! (a proposito, qualcuno ha fatto i conti del reale bilancio energetico della sostituzione di case vecchie con case nuove, mettendo nel conto da una parte l’energia risparmiata nella nuova casa per il suo periodo di vita tecnica e dall’altra l’energia necessaria per demolire e smaltire la vecchia casa e per realizzare i materiali prima e costruire poi la casa clima con detti materiali?)
Il problema è serio e certamente non possiedo neppure le conoscenze generali e specifiche indispensabili anche agli specialisti per fornire una soluzione sicura. Tuttavia mi permetto di buttare li qualche idea, un po‘ come un sasso in uno stagno, per sollecitare un dibattito, poi una presa di coscienza e quindi soluzioni e indirizzi politici efficaci.
Penso che le microimprese che lavorano oggi nell’ambito provinciale dovrebbero sviluppare una capacità di cooperare fra loro, affrontando commesse di importo via via crescente, sino a raggiungere una capacità tecnico-economica in grado di competere sia sul territorio nazionale sia nei vicini paesi di lingua tedesca. C’è già qualche ditta che singolarmente è cresciuta e oggi opera sul territorio nazionale, ad esempio l’impresa Oberösler, se non erro originaria di Brunico, che ha realizzato importanti opere stradali anche nel Lazio e in altre regioni dell’Italia centrale.
Ovviamente non è cosa facile e richiederebbe tempo per consentire un cambio di mentalità. Richiede anche che il personale delle ditte accetti di diventare trasfertista per andare a lavorare fuori Regione; ma questo sacrificio consentirebbe agli addetti di mantenere un lavoro almeno per coloro che non possano o non riescano a riciclarsi in altre attività.
Se questa idea trovasse consensi, si dovrebbero avviare degli studi per trovare le soluzioni di incentivi e penalità, per avviare quel processo di cooperazione tra imprese e individuare anche le forme di cooperazione (consorzi di imprese, cooperative, fusioni aziendali ed altre forme ancora), che altrimenti non verranno mai avviate, ma soprattutto è necessario che la gente trasmetta agli amministratori pubblici messaggi di disagio in ordine al progressivo degrado del territorio, in termini di affollamento, traffico, erosione del paesaggio rurale e cittadino.

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